I ghiacciai italiani pieni di contaminanti e metalli pesanti, che finiscono nei fiumi e in mare

Per decenni abbiamo congelato i nostri "problemi" ma adesso, per via del surriscaldamento generato dalle nostre stesse attività, stanno per essere "liberati". I ghiacciai italiani sono infatti pieni di contaminanti: metalli pesanti, DDT, PCB e inquinanti vari sono rimasti congelati negli anni sulle vette ma la crisi del clima che pone gli stessi ghiacciai sempre più in sofferenza oggi amplifica il rilascio di queste sostanze destinate ad arrivare fino ai fiumi e poi ai mari, impattando direttamente sugli ecosistemi da cui dipendiamo.
La prima mappa su ampia scala dello stato di contaminazione dei ghiacciai italiani è stata realizzata dall’Università Statale di Milano insieme a One Ocean Foundation che in un articolo pubblicato sulla rivista Archives of Environmental Contamination and Toxicology mettono proprio in evidenza lo stato di inquinanti e la connessione fra sistemi montani e marini.
Finora, hanno ben documentato gli scienziati in tutto il mondo, i ghiacciai globali hanno mostrato caratteristiche di sofferenza comune: stanno arretrando, diventano più scuri e meno riflettenti e accelerano, con la fusione la perdita delle riserve idriche di ogni Paese aumentando così parallelamente l'innalzamento del livello dei mari. Un nuovo rischio però, ricorda la ricerca italiana, è alle porte: lo scioglimento può infatti comportare il rilascio di tutta una serie di sostanze inquinanti - soprattutto di natura antropica - che sono rimaste congelate per lunghissimo tempo.

Lo studio guidato da Marco Parolini, professore presso il Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali, sostiene come in tutti i 16 ghiacciai italiani esaminati come campioni, sia stata rilevata la presenza di contaminanti: composti organici persistenti (POP) come DDT e HCB e PCB e altri contaminanti emergenti, ma anche metalli pesanti (come piombo, cadmio e altri) e anche sostanze già presenti in natura "che possono diventare un problema a concentrazioni elevate". Sostanze, spesso di origine antropica, che sono state trasportate per via atmosferica sui ghiacciai, oppure che derivano da sorgenti locali riconducibili sempre alle nostre attività: una volta lassù restano intrappolate fra il ghiaccio per anni fino al rilascio che avviene con la fusione e che può ricadere direttamente sugli ecosistemi a valle, ma anche sui mari.
"Ciò che accade sulle cime delle montagne ha effetti diretti sugli ecosistemi vallivi e marini" ricorda infatti Jan Pachner, segretario generale di One Ocean Foundation. I campioni analizzati sono stati tutti raccolti tra il 2020 e il 2021 su ghiacciai alpini e su quello appenninico del Calderone.
Alcuni ghiacciai in particolare come l’Ebenferner "presentano livelli più elevati di metalli pesanti e potenzialmente tossici (Cd, Hg, Pb, Zn), probabilmente riconducibili alla presenza di attività antropiche locali. In altri, come il Preda Rossa, la contaminazione è attribuibile invece alle caratteristiche geologiche locali" sostengono gli esperti. Per Marco Paolini "raccogliere campioni di detrito sopraglaciale ci ha permesso di ottenere una fotografia unica dell’attuale contaminazione. Questo approccio non solo consente di misurare con precisione i livelli dei contaminanti, ma anche di comprendere meglio i meccanismi attraverso cui vengono trasportati, accumulati e rilasciati negli ecosistemi a valle" racconta ricordando come le sostanze intrappolate nei ghiacci raggiungono i corsi d’acqua e il mare mettendo in connessione ambienti apparentemente lontani ma "interdipendenti".
Infine, i ricercatori sostengono l'importanza di ampliare il monitoraggio e di renderlo costante anche per i contaminanti emergenti in modo da valutare gli effetti sugli ecosistemi che vengono impattati dopo il rilascio.
La Repubblica