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Le aree di foresta amazzonica bruciata restano calde e stressate per decenni

Le aree di foresta amazzonica bruciata restano calde e stressate per decenni

Il danno dovuto agli incendi che si verificano nelle foreste dell’Amazzonia brasiliana non è solo quello immediatamente visibile. Secondo i risultati di uno studio pubblicato su Environmental Research Letters, infatti, le aree di foresta amazzonica danneggiate dagli incendi rimangono più calde di circa 2,6°C rispetto alle aree circostanti intatte oppure soggette a disboscamento controllato. E questo effetto può durare per decenni, con un abbassamento di temperatura pari a soli 1,2°C nei 30 anni successivi all’evento. Questo rende le foreste danneggiate molto più vulnerabili per esempio alle conseguenze del cambiamento climatico. “Stiamo scoprendo che gli incendi hanno un impatto ecologico significativo su scale temporali molto ampie e che la rigenerazione è molto più a rischio: è più lenta o non avviene affatto”, spiega Savannah Cooley, che ha un dottorato di ricerca in Ecologia, evoluzione e biologia ambientale ottenuto presso la Columbia University (Stati Uniti), ed è prima autrice del lavoro e ricercatrice presso il Nasa Ames Research Center. Autori e autrici dello studio hanno analizzato in particolare un’aera di foresta amazzonica brasiliana nota come “Arco di deforestazione” (“Arc of deforestation”), che negli ultimi decenni è stata appunto oggetto di deforestazione e teatro di incendi. E che oggi costituisce un caso studio ideale, spiegano i ricercatori, perché è in sostanza un mosaico di aree intatte, bruciate, disboscate e in fase di rigenerazione.

La ricerca è stata condotta combinando i dati sulla temperatura della superficie terrestre ottenuti attraverso lo strumento Ecostress della Nasa con i dati raccolti grazie alla missione Gedi (Global Ecosystem Dynamics Investigation) lidar. Quest’ultima in sostanza è pensata per produrre immagini ad alta risoluzione della struttura tridimensionale della Terra, e per scansionare dall’alto la situazione delle foreste e soprattutto delle chiome, la cui integrità è fondamentale per il controllo delle temperature in queste aree. Oltre ad essere mediamente più calde, le zone di foresta bruciata all’interno dell’Arco di deforestazione sono risultate essere anche più instabili dal punto di vista termico. Rispetto alle aree intatte o soggette a disboscamento controllato, quelle che hanno subito incendi in passato mostrerebbero infatti maggiori fluttuazioni di temperatura nell’arco della giornata, e sarebbero anche più soggette a superare le soglie fisiologiche che compromettono la funzionalità degli alberi. Per esempio, durante il picco di calore della stagione secca, quasi l’87% delle foglie esposte alla luce solare nelle foreste bruciate raggiungerebbe temperature per cui la respirazione cellulare prevale sulla fotosintesi (situazione in cui le piante bruciano più riserve di energia di quelle che accumulano), rispetto al 72-74% delle aree di foresta soggette a disboscamento controllato o intatte.

Inoltre, nelle aree che sono state teatro di incendi in passato, la probabilità che la temperatura delle foglie superi il limite per cui si verificano danni permanenti è risultata essere dieci volte superiore. Questo perché gli incendi cambiano completamente la struttura della foresta, diradando le chiome, spazzando via il sottobosco e riducendo la superficie fogliare, da cui dipendono i due principali meccanismi di raffreddamento delle piante (ombra e traspirazione). Al contrario, spiegano i ricercatori, nelle aree soggette a disboscamento controllato e in cui è stata mantenuta l’integrità delle chiome, le temperature sono risultate simili a quelle registrate nelle foreste intatte. “Gli ecosistemi tropicali degradati, in particolare le foreste bruciate, stanno subendo uno stress termico - conclude Cooley - Ma possiamo fare molto per ridurre al minimo i danni alla biodiversità e alle specie che stanno subendo questo stress, sia in termini di gestione forestale, contribuendo a ridurre gli incendi in Amazzonia, sia dal punto di vista della mitigazione delle emissioni di carbonio, continuando a ridurre le emissioni in modo aggressivo e rapido e passando a un’economia energetica sostenibile e pulita”.

La Repubblica

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