Se la geopolitica dimentica di salvare la Terra

La Giornata dell’Ambiente, dedicata quest’anno alla lotta contro l’inquinamento della plastica, vede l’impegno per la difesa del clima indebolito dal duello strategico fra Usa e Cina. Il 2024 è stato l’anno più caldo di sempre, violando per la prima volta i limiti al surriscaldamento dell’atmosfera stabiliti dall’Accordo di Parigi, con una serie di eventi estremi — dai grandi incendi ai cicloni tropicali — che hanno causato il più alto numero di senzatetto dal 2008, secondo le stime dell’Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo).
Questa onda di devastazioni dovute al surriscaldamento del clima avrebbe dovuto portare le maggiori potenze industriali ad accrescere gli impegni presi per la riduzione dei gas nocivi, fino all’obiettivo di azzerarli. Ma quanto sta avvenendo sul terreno è l’esatto opposto.
Le promesse della Cina di arrivare a “quota zero” nel 2060 e dell’India nel 2070 si allontanano nel tempo con un percorso parallelo agli Stati Uniti, che il presidente Donald Trump ha portato fuori dagli Accordi di Parigi. Mentre l’Unione Europea, pur mantenendo l’obiettivo di “zero emissioni” del 2050, si avvia ad una delicata revisione della tappa intermedia del 2040 destinata ad avere conseguenze di lungo termine, con l’allentamento di molti parametri. Si tratta di una chiara inversione di rotta rispetto al “Green Deal” firmato da Ursula von der Leyen durante il primo mandato da presidente della Commissione europea.
Per comprendere la genesi di questa globale inversione di tendenza bisogna partire dalla guerra dei dazi che oppone anzitutto Washington e Pechino. Le decisioni di Trump di uscire dall’intesa di Parigi, bloccare i “fondi verdi” alle banche previsti dall’“Inflaction Reduction Act” di Joe Biden, sospendere le autorizzazioni ai nuovi progetti di energia rinnovabile e di espandere l’estrazione dei carburanti fossili nascono dalla convinzione che le politiche per lo sviluppo dell’energia “verde” costituiscono una “minaccia alla sicurezza nazionale” per via del fatto che implicano l’aumento dell’importazione di materiali e tecnologia dalla Cina. È un timore che nasce dalla supremazia di Pechino in alcuni mercati strategici, dai pannelli solari alle batterie verdi, e la scelta di Xi Jinping è stata di rilanciare su questo terreno immaginando, attraverso alcuni suoi consiglieri, un “Piano Marshall per la tecnologia pulita” destinato a creare una coalizione internazionale di Paesi sempre più legati, sul piano strategico, alla Cina.
Come ben riassume Huang Yiping, rettore dell’Istituto di cooperazione e sviluppo Sud-Sud dell’Università di Pechino, “il piano di Xi può stimolare la domanda per manifatture cinesi sostenendo la trasformazione verde a livello globale”. Diplomatici cinesi sono stati nelle ultime settimane in missione nelle isole del Pacifico per declinare singole versioni del “Piano Marshall” e Pechino ha iniziato un pressing anche sulle capitali della Ue per offrire l’accelerazione dei legami commerciali proprio sulla base della convergenza sulla difesa dell’ambiente. Poco importa che Pechino ha la responsabilità di un terzo delle emissioni nocive del Pianeta e, assieme a New Delhi, guida all’interno del G20 un fronte di “falchi” convinto che il Sud Globale ha una sorta di diritto storico nell’usare più a lungo i gas serra perché i Paesi occidentali “colpevoli della colonizzazione” avrebbero accumulato un vantaggio nello sviluppo che ora deve obbligarli a frenare prima sulle emissioni rispetto a Paesi asiatici, africani e latinoamericani.
Ciò che tiene assieme i tasselli del mosaico del Dragone è la scelta strategica di trasformare la difesa del clima in un tassello della sfida globale alle democrazie, per separare gli Usa dall’Europa, ed accelerare la corsa verso la leadership del pil del Pianeta. Anche per questo gli investimenti sulla collaborazione “green” di Xi guardano anzitutto ai Paesi con cui condivide la “Nuova Via della Seta”, l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai ed il forum delle economie “Brics”: Russia, Brasile, India e Sudafrica.
La commistione che si viene a creare fra decarbonizzazione e geopolitica spiega perché due senatori repubblicani vicini alla Casa Bianca, Bill Cassidy e Lindsey Graham, propongono il “Foreign Pollution Free Act” per sostenere l’esistenza di un “legame fra le azioni legislative su clima, sicurezza nazionale, economia ed energia” legittimando la politica di tariffe contro la Cina anche per difendersi dallo sviluppo di tecnologie rinnovabili “importate”.
È questo scenario che pesa sull’Unione Europea impegnata da una parte a negoziare sui dazi con Washington per arrivare ad un’intesa entro inizio luglio e dall’altra a difendere quanto possibile il “Green Deal”. Senza per questo essere obbligata ad entrare nella sfera d’influenza del “Piano Marshall” del Dragone. Insomma, la geopolitica ruba il palcoscenico del clima a ciò che resta delle manifestazioni di Fridays for Future mentre il surriscaldamento dell’atmosfera accelera.
La Repubblica